Abuso de diritto, l’atto di indirizzo del MEF del 27.2.2025


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Oggi ci addentriamo in un concetto cruciale e a volte un po’ ostico del nostro diritto tributario, l’abuso del diritto. E lo facciamo partendo da una fonte ufficiale, un atto di indirizzo del Ministero dell’Economia, un documento che insomma cerca di dare delle linee guida su come interpretare e applicare questa disciplina.

L’idea è capire bene cos’è questo abuso del diritto, come si è evoluto nel tempo e perché è così rilevante, direi, per tutti, sia per i contribuenti ovviamente, sia per l’amministrazione finanziaria.

Siamo in quella zona un po’ grigia, affascinante, tra il rispetto delle regole e la ricerca del risparmio fiscale, magari a volte un po’ troppo creativa. Cerchiamo di fare chiarezza. È proprio così, un terreno diciamo complesso, dove si cerca un equilibrio delicato.

Da un lato la libertà di scelta economica del contribuente, dall’altro l’integrità del sistema fiscale.

Prima di avere una norma specifica, l’articolo 10 bis dello Statuto dei Diritti del Contribuente, come funzionava? Come veniva affrontato questo tema dell’abuso? Prima del 10 l’approccio era meno definito, molto meno strutturato. Si basava parecchio sul concetto, un po’ vago forse, di valide ragioni economiche extrafiscali. In pratica l’amministrazione andava a verificare se un’operazione magari un po’ strana o complessa, avesse una sua logica economica, un suo senso commerciale, al di là del puro vantaggio fiscale.

Se questa, chiamiamola sostanza economica, non fiscale, sembrava mancare o era proprio minima, allora si poteva iniziare a parlare di abuso.

Però un approccio così, basato molto sull’interpretazione, spesso nato dalla giurisprudenza, dalla prassi, creava non poca incertezza.

C’era il rischio, concreto, di contestare magari anche scelte che sfruttavano agevolazioni previste proprio dalla legge. Mancava una bussola normativa chiara. Poi sono arrivate nel 2012 delle raccomandazioni importanti dall’Europa, dalla Commissione europea, proprio sulla pianificazione fiscale aggressiva.

E queste hanno dato una bella spinta all’Italia per mettere un po’ d’ordine nella materia. Quindi è stato il legislatore a dire ”Basta incertezze, definiamo delle regole”.

La svolta vera c’è stata nel 2015 con il decreto legislativo 128. Questo decreto ha introdotto una novità fondamentale, l’articolo 10 bis nello statuto dei diritti del contribuente.

Che è un po’ la carta fondamentale dei rapporti fisco contribuente. Questo articolo ha fatto una cosa importantissima, ha dato per la prima volta una definizione generale e unitaria di abuso del diritto.

E cosa ha stabilito in concreto? Beh, diverse cose cruciali. Primo ha fissato i presupposti chiari, le condizioni che devono esserci tutte insieme per parlare di abuso. Secondo, ha stabilito delle regole procedurali precise per l’accertamento a tutela del contribuente.

Terzo, ha detto chiaramente che questa definizione vale per tutti i tributi, diretti, indiretti, erariali, locali, superando così il vecchio articolo 37 bis del DPR 600, che era molto più limitato. Ora è stato abrogato per queste fattispecie, e ha specificato che l’abuso del diritto in sé non costituisce reato, fermo arrestando ovviamente le sanzioni amministrative. Quindi abbiamo questa norma a quadro, l’articolo 10 bis, ma ora veniamo al punto.

Dunque, come si riconosce, nella pratica, un’operazione abusiva? Quali sono, diciamo, gli elementi chiave che l’amministrazione deve scovare? Allora, l’articolo 10 bis è molto preciso qui. Non basta un’impressione. Ci devono essere tre presupposti e, sottolineo, devono verificarsi congiuntamente tutti e tre.

Primo, la realizzazione di un vantaggio fiscale indebito.

Secondo, l’assenza di sostanza economica dell’operazione o delle operazioni considerate.

Terzo, l’essenzialità del vantaggio fiscale, cioè quel vantaggio deve essere lo scopo principale determinante dell’intera operazione.

Il vantaggio fiscale indebito.

Viene da chiedersi ogni risparmio d’imposta è indebito? Sembra quasi si voglia impedire di pianificare. No, no, e questa è una precisazione fondamentale che fa la legge stessa. Non parliamo di un qualsiasi risparmio.

Il vantaggio è indebito quando viene ottenuto andando contro la finalità, i principi, la ratio, come si dice in gergo, delle norme fiscali applicabili. Anche se formalmente la legge è rispettata? Esatto. Magari rispetti la lettera della legge, ma la usi in modo distorto per ottenere un risultato che il legislatore non voleva assolutamente consentire in quella specifica situazione.

È un aggiramento, diciamo. Infatti la stessa norma, al comma 4, distingue bene questo dal legittimo risparmio d’imposta.

Dice chiaramente che resta salva la libertà del contribuente di scegliere tra diverse opzioni offerte dalla legge. Se ci sono più strade legali con la stessa sostanza economica per fare una certa cosa e una di queste strade comporta meno tasse, beh, scegliere quella è perfettamente legittimo, non è abuso.

L’abuso quando scatta, allora? Scatta quando tu, invece di scegliere una strada prevista, ne costruisci una ad hoc, artificiale, priva di reale contenuto economico, al solo scopo di ottenere un beneficio fiscale che altrimenti non ti spetterebbe. È lì la differenza chiave. Il vecchio 37bis provava a elencare qualche caso, ma ora l’approccio del 10bis è più generale, basato su questi principi.

Mi sembra che il concetto di assenza di sostanza economica sia davvero il cuore della questione, forse il punto più delicato da valutare. Cosa significa concretamente? È assolutamente il fulcro e la legge prova a darci una mano a definirlo. Il comma 2, lettera A, del 10bis dice che sono prive di sostanza economica i fatti, gli atti e i contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali.

Effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali. Dobbiamo tradurlo? Praticamente significa che dobbiamo guardare oltre la forma giuridica, oltre l’etichetta che diamo all’operazione.

Questa operazione o questa catena di atti ha una sua logica economica reale, produce effetti concreti, misurabili, commerciali, organizzativi, finanziari, che non siano solo il pagare meno tasse. Quindi bisogna guardare alla realtà economica sottostante. L’analisi deve essere molto concreta.

L’operazione è coerente con le normali logiche di mercato, corrisponde a prassi commerciali usuali, comporta dei rischi di impresa reali per chi la pone in essere. E se invece si vedono cose strane? Ecco, se invece vediamo, non so, costruzioni giuridiche eccessivamente complesse, giri societari tortuosi, strumenti sproporzionati rispetto all’obiettivo economico dichiarato, lì può accendersi una spia. Un campanello d’allarme.

Potrebbe mancare la sostanza economica? Bisogna valutare l’insieme, magari ci sono più operazioni collegate tra loro, collegamento negoziale. Proviamo con un esempio, magari un po’ estremo, ma per capirci. Un gruppo che crea una società vuota in un paradiso fiscale, le cede un marchio importante e poi si fa fatturare royalties altissime da questa scatola vuota, per abbattere l’utile in Italia.

Quella società estera magari non ha dipendenti, non ha uffici, non fa nulla se non incassare. Lì potrebbe mancare la sostanza. Questo è un classico esempio del tipo di schema che fa scattare l’analisi sulla sostanza.

Bisogna guardare il quadro completo. L’obiettivo, come ci dicono anche le linee guida europee e la giurisprudenza costante, è proprio smascherare le costruzioni di puro artificio. Cioè architetture create a tavolino solo per non pagare le tasse.

La mancanza di sostanza la vedi spesso dall’incoerenza tra i mezzi giuridici usati, i fini economici irreali o proprio dall’assenza di un senso imprenditoriale vero. La domanda chiave diventa, ma quell’operazione l’avresti fatta lo stesso, anche senza quel particolare vantaggio fiscale?

Se la risposta è probabilmente no, allora siamo in una zona ad alto rischio di abuso. Ma questa lente di ingrandimento sull’abuso si applica sempre e comunque? Ci sono dei limiti delle esclusioni? Sì, ci sono dei limiti importanti. Innanzitutto chiariamo che l’articolo 10bis non si occupa dell’evasione fiscale pura.

Tipo nascondere i ricavi o usare fatture false? Esatto. Quella è evasione, è una violazione diretta della legge, spesso penalmente rilevante. L’abuso è più sottile, è un uso distorto delle norme, formalmente lecito, ma contro lo spirito del sistema.